8.29.2006

Dall'imagine tesa

Dall'immagine tesa
vigilo l'istante
con imminenza di attesa
e non aspetto nessuno:
nell'ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno:
ma deve venire;
verrà, se resisto,
a sbocciare non visto,
verrà d'improvviso,
quando meno l'avverto:
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.


Clemente Rebora

4 Commenti:

Anonymous Anonimo ha detto...

Universalmente riconosciuta come il capolavoro di Rebora, "Dall'immagine tesa" sta sulla soglia della conversione: scritta nel 1920 e posta in chiusura dei Canti anonimi, questa lirica sigilla la produzione "laica" del Nostro.

Poesia dell'attesa, o meglio dell"'Atteso", è reputata da Margherita Marchione «la lirica italiana più religiosa e vibrante del nostro tempo»; e Stefano Jacomuzzi la definisce «uno dei più alti canti religiosi dell'arte contemporanea».

Strutturalmente è divisa in due parti di tredici versi ciascuna.

Nella prima, costruita su una fitta serie di affermazioni e negazioni, il corpo è teso a vigilare l'istante, all'erta come sentinella (o come le vergini prudenti: imminente è l'arrivo dello Sposo). «Nell'ombra accesa» (ardito ossimoro), nel buio dell'incertezza in cui scintilla l'attesa, il poeta spia quel silenzio gremito d'impercettibili suoni, profumati e leggeri come polline (splendida la sinestesia: «polline di suono»!).

Lo spazio, nell'immobilità sospesa e colma di stupore, pare dilatarsi all'infinito.

In esso il poeta, che tre volte ribadisce «non aspetto nessuno», pre-sente di essere sull'orlo di una rivelazione.
L’«immagine tesa» dell'incipit - spiegherà Rebora ormai vecchio - è «la mia persona stessa assunta nell'espressione del mio viso proteso non solo verso un annunzio a lungo sospirato, ma forse (confusamente) verso il Dulcis Hospes animae».

La seconda parte della lirica, aperta dall'avversativa «Ma», afferma perentoriamente che l'Ospite atteso «verrà» (sei volte ricorre l'anafora).

Fragile è la mia capacità di vigilanza, sempre minacciata dalla distrazione - dice il poeta - ma, «se resisto» nell'attesa, non potrò non assistere al Suo impercettibile «sbocciare» (dunque era Lui - l'Ospite - a spandere «un polline di suono»).

La Sua venuta sarà un avvenimento «improvviso», imprevisto (qui come già in Péguy); e porterà il "per-dono", il grande dono della vittoria sul peccato e sulla morte (qui la concezione è già pienamente cristiana, sebbene la conversione accadrà solo nove anni dopo).

Verrà come certezza che c'è un «tesoro», per acquistare il quale vale la pena vendere tutto; dolori e pene permarranno, ma abbracciati da un «ristoro» umanamente impensabile.

«Verrà, forse già viene»: «La Presenza è alle soglie e chiede un totale tremante silenzio perché possa essere udito il suo discreto "bisbiglio"» (Jacomuzzi).

Testimoniando la propria fede a Eugenio Montale, Rebora - negli ultimi anni di vita - tornerà su quel bisbiglio: «La voce di Dio è sottile, quasi inavvertibile, è appena un ronzio.
Se ci si abitua, si riesce a sentirla dappertutto».

(Roberto Filippetti)

8/30/2006 09:14:00 PM  
Blogger alivento ha detto...

Trovo questa poesia di Rebora, come ho già detto nei commenti al post precedente, bellissima.
Un capolavoro che resta tale pur nel trascorrere del tempo, oltre le mode e i gusti del momento. Vibrante è la parola che meglio sussume la grande tensione/sospensione in essa racchiusa.
Mirabili le espressioni già da te sottolineate "polline di suono" e nell'ombra accesa" ma anche mirabile il ritmo di tutto l'insieme scandito dalle ripetizioni di alcune espressioni e del verbo "verrà"; le assonanze le rime che conferiscono alla composizione un tempo, un battito praticamente perfetto.
Trovo singolare e significativa anche la chiusa, la parola "bisbiglio", che si contrappone acusticamente a tutto il resto, sia nel senso, poichè il bisbigliare si avverte appunto con l'orecchio, sia nel suono contenendo questa parola gruppi di consonanti e vocali associate che non si riscontrano nel resto del testo, sia infine per l'immagine che evocano di un sentire sommesso in avvicinamento.
Grazie Artur di questo commento.

8/30/2006 10:11:00 PM  
Blogger alivento ha detto...

Ef, se leggi, questa mi sembra un'ottima occasione per qualche tuo commento caustico ("bonario" s'intende)

:P

8/30/2006 10:13:00 PM  
Anonymous Anonimo ha detto...

anch'io pensavo che fosse tua fino a verrà quasi perdono. ciao a.

9/01/2006 11:14:00 PM  

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